Le 2 ipot. dell’AD

Le due ipotesi assunte come vere dalla psicologia clinica basata sull’analisi della domanda (dalla quale nasce il progetto Terra2) sono le seguenti:

  1. Ci sono “emozioni per scelta” (libera ma inconscia) del sistema emozionale
  2. Una relazione o è possessiva (emozionalmente negativa) o è di scambio

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|<= Ci sono “emozioni per scelta” (libera ma inconscia) del sistema emozionale


Secondo l’analisi della domanda l’emozione provata da una persona ad un dato istante ha una componente prodotta dalla situazione esterna (che chiamerò emozione “per necessità” perché non si può non provarla) e una componente prodotta dallo stesso soggetto per libera scelta del suo sistema emozionale (che per questo chiamerò emozione “per scelta“). La scelta non la fa però il sistema razionale ma quello emozionale, per cui non è una scelta della quale il soggetto è consapevole.
Un’emozione per scelta può essere prodotta:
(1) su richiesta di una parte del cervello che va ad attivare dei neuroni nella parte di cervello che riceve dall’esterno (quella dietro al solco centrale);
(2) dietro al solco centrale arrivano, oltre ai segnali provenienti dall’esterno e a quelli provenienti da altre parti del cervello, anche quelli provenienti dal corpo, per cui un’emozione di origine interna può nascere anche su sollecitazione del corpo;

(3) è importante capire che a volte un’emozione sembra di origine esterna perché è prodotta dalla situazione esterna ma che va invece considerata “per scelta” e non “per necessità” se è il soggetto ad aver cercato o creato quella situazione perché voleva provare quell’emozione.

Per una larga parte della psicologia, invece, tutta l’emozione provata è emozione “per necessità”.  Quindi il soggetto non è responsabile di nessuna azione fatta su sollecitazione delle emozioni perché non poteva non farla.

Se esistono le emozioni per scelta, però, esiste anche il piacere per scelta, perché quando il sistema emozionale di un soggetto sceglie di produrre un’emozione positiva di qualsivoglia natura egli si regala un piacere. Inoltre esiste una sofferenza per scelta, perché se il sistema emozionale di un soggetto produce un’emozione per scelta spiacevole (ad esempio se una madre sceglie di preoccuparsi per la salute del figlio senza dei motivi per preoccuparsi) il soggetto si regala una sofferenza che poteva risparmiarsi.
Mentre ammettere che un soggetto si regali da solo piacere per scelta non è difficile può essere difficile accettare l’eventualità che si procuri da solo sofferenza per scelta, ma lo fa e anche continuamente se accettiamo l’ipotesi che piacere e sofferenza per scelta siano i due strumenti usati dal sistema emozionale per guidare l’azione del soggetto verso il fine A che vuol raggiungere senza farsi distrarre dai fini B e C
Ipotesi della guida emozionale dell’azione.
Apprezzare il fine A significa attribuirgli più valore di quello che aveva di suo e questo può essere fatto sviluppando emozioni per scelta positive quando si pensa ad A ed attribuendo arbitrariamente la loro comparsa ad A (cosa che aumenta il valore di A perché il valore è legato all’entità delle emozioni positive). Analogamente si possono disprezzare i fini B e C creando emozioni per scelta negative quando si pensa al fine B o a al fine C. A questo punto appare naturale ipotizzare che è proprio apprezzando A che il soggetto stimola il fare che avvicina ad A e anche il fare verso l’obiettivo intermedio A’. Così come appare ragionevole ipotizzare che disprezzando B e C il soggetto inibisca il fare in direzione B e il fare in direzione C.
Se così stanno le cose (perché sto raccontando un modo di guidare l’azione che è ragionevole ipotizzare e non di un modo che risulta dimostrato a livello scientifico), allora l’apprezzamento stimola il fare, mentre il disprezzo inibisce il fare.
Sulla base di questo modello, rispetto al quale vi invito a chiedervi non se è vero o falso ma se lo trovate utile o dannoso per capire le persone, la sofferenza per scelta non appare più una cosa stupida che nessuna persona sana di mente farebbe mai, bensì uno strumento indispensabile per andare da qualche parte, bloccando con la sofferenza per scelta tutte le strade che portano altrove.
Di questo e di altro ancora parlo nella diapositiva che segue.

Se volete ascoltare la diapositiva qui sopra cliccate qui

Il contenuto della diapositiva è quello che segue. Il linguaggio è abbastanza tecnico, perché questa diapositiva è la prima di una serie di diapositive in cui spiego alcune parti del libro Analisi della domanda (Carli-Paniccia, 2003) e nasce per essere ascoltata da studenti di psicologia impegnati a studiare tale libro (l’ho un pochino semplificata, ma non di molto).

Il capitolo di gran lunga più importante del libro Analisi della domanda, quello sulle neoemozioni, si apre chiedendosi a quali emozioni si sono interessati fino ad ora la maggior parte degli psicologi.

Molti si sono interessati alle “emozioni primarie” o semplici, ovvero a quelle emozioni universali, spontanee e quindi innate, che mescolate tra loro danno le emozioni secondarie o emozioni composte, risultando essere gli ingredienti base per costruire ogni altra configurazione emotiva.
Per alcuni autori si possono contare sulle dita di una sola mano perché sono 5: la felicità, la tristezza, la paura, la collera (ma altri la chiamano rabbia) e il disgusto.
Come si vede una sola emozione è positiva nel senso di piacevole e tutte le altre 4 sono negative ovvero spiacevoli. Sottolineo questa caratteristica delle emozioni di avere non solo un’intensità ma anche un segno (positivo o negativo) – mentre non ci sono ragioni positive o negative – presentando questo modello gerarchico delle emozioni di Shaver (dove sono riportate solo alcune delle emozioni appartenenti alle categorie subordinate).
Positiva o negativa che sia, un’emozione spontanea dura un attimo per definizione di emozione perché se dura più di qualche secondo non parliamo più di emozione ma di umore, sentimento o affetto.
In merito alla definizione è il caso di ricordare che le emozioni sono note a tutti per il fatto di averle sperimentate di persona e quando si dice che l’emozione è un vissuto ci si riferisce a questa conoscenza soggettiva pre-definizione legata alle proprie esperienze passate, appunto vissute. A tutt’oggi, però, non esiste una definizione scientifica condivisa da tutti per la parola emozione, come ricorda il libro forse più autorevole di neuroscienze ovvero il Kandel-Swartz.
Secondo il manuale di neuropsicologia Denes-Pizzamiglio, una possibile delimitazione del concetto di emozione, arbitraria ma largamente condivisa in neuropsicologia, si basa su tre qualità di ciò che chiamiamo emozione:
  1. la più importante di esse è la durata, più lunga delle frazioni di secondo di una risposta riflessa ad uno stimolo improvviso ma non più lunga di qualche secondo, dopo di che si entra nel campo di quello che la psichiatria chiama umore e la psicologia chiama sentimenti o stati affettivi.
  2. Le manifestazioni emozionali oltre dalla breve durata sono anche caratterizzate da un lato dalla notevole similiarità con cui si manifestano negli individui della stessa specie;
  3. dall’altro, continuo a citare testualmente dal Denes-Pizzamiglio, dalla possibilità di poter essere inibite, modulate o simulate in presenza di specifici condizionamenti sociali.
Tornando al nostro elenco di emozioni primarie, notiamo che altri autori aggiungono al questo elenco altre emozioni base come la sorpresa e l’interesse, in questo caso con un totale di sette.
Per capire il motivo di tanto interesse a queste emozioni primarie, sottolineo una loro qualità: quella di essere innate.
Se una persona fa una scorrettezza, non sarà condannabile se dimostra che l’ha fatta perché era in preda ad un’emozione innata, e questo è decisamente attraente in un mondo pieno di scorrettezze come quello che si vede sollevando il coperchio emozionale con l’analisi della domanda, che non a caso s’interessa di tutt’altre emozioni.
Altri psicologi si sono interessati alle paure irrazionali (cioè senza motivo), incontrollabili e persistenti, le cosiddette fobie, di adulti e di bambini. Dove persistenti significa che durano anni e non secondi, per cui devono avere un solido sistema di riattivazione che passa il tempo a tenere viva l’emozione della paura e senza alcuna utilità (visibile a prima vista, perché un’utilità nascosta c’è se una parte del soggetto lavora tanto per tenere alta questa paura). Queste paure irrazionali o fobie sono molte e varie, come si può vedere da quest’elenco preso dal sito nienteansia.it e limitato alle fobie più frequenti perché poi ce ne sono molte altre.
Passi per la paura del buio, ma come si fa ad avere paura di un animale pacifico come un gatto, armato solo di unghie che non tira fuori mai davvero se non è seriamente minacciato?
Pare che si possa, tuttavia, e anche facilmente se sono veri i dati riportati sul sito e di fonte nota che il 7% degli uomini e ben il 16% delle donne ha avuto una fobia specifica come appunto quella verso specifici animali o la paura di volare o la paura di vedere il sangue. Per non dire della paura degli alberi o, questa è ancora più bella, della paura dei soldi o Crometofobia (da non confondere con la Cromofobia o paura dei colori). La paura che mi piace di più, però, è la Eufobia ovvero la paura di sentire buone notizie!
Con quasi una donna su 5 che lamenta paure incontrollabili, è ovvio che molti psicologi si interessano ad esse. Meno ovvio è invece quanto possa contribuire alla loro diffusione il fatto di prenderle sul serio degli psicologi, e anche degli psichiatri “armati” di DSM-IV, che è una importante fonte d’ispirazione per aspiranti malati, di paura o di altro. Col concorso esterno ma sostanzioso di molti altri, a cominciare dagli etologi. L’Etologia è la disciplina che studia il comportamento animale per capire il comportamento umano, e il cercare nel comportamento animale la spiegazione del comportamento sociale umano rilancia la stessa tesi delle emozioni innate. Perché implica che i comportamenti umani derivino in larga misura dall’animale che è in lui, che siano se non proprio biologicamente determinati almeno determinati dalla biologia e dall’ambiente.
Se biologia e ambiente socio-culturale sono così importanti nel determinare il comportamento umano, allora se una bella donna ha paura dei gatti non è mica colpa sua, poverina, è fatta così. Non si tratta invece di una scelta che fai lei per essere irrimediabilmente al centro delle attenzioni altrui in prossimità di uno dei sette milioni e passa gatti italiani, ovvero quasi sempre fuori da casa sua visto che mediamente s’incontra un gatto ogni 8 persone.
Una categoria che non si può non citare in un indirizzo mirato all’intervento clinico è quella degli psicoanalisti i quali, da Freud per gli adulti e da Melanie Klein per i bambini in avanti, si sono interessati ai meccanismi di difesa. Iindividuandone a centinaia con la stessa fantasia con cui gli aspiranti fobici individuano di cosa avere paura, ognuno dei quali impossibile da non avere perché attivato da specifiche emozioni primarie impossibili da non avere.
Queste e molte altre posizioni che qui non interessa approfondire, affermano gli autori del libro (Carli e Paniccia), ci colpiscono per la povertà delle categorie emozionali utilizzate a fronte della complessa dinamica emozionale che s’incontra quotidianamente nella vita reale. Si può pensare che le emozioni siano risposte agli stimoli dell’ambiente presente in quel momento. O risposte agli stimoli di un ambiente che è stato presente in passato, anni prima ma anche in un passato che si perde nella notte dei tempi, e che adesso è interiorizzato da qualche parte nel cervello o nel corpo. In questo caso parleremo di emozioni nate per necessità, perché in assenza di stimoli esterni o di stimoli interni attivati da sollecitazioni esterne esse non ci sarebbero state.
Difendersi è una necessità e le emozioni associate ad un meccanismo di difesa, da qualunque parte nasca il pericolo da cui ci si difende compresa una parte di se stessi, sono emozioni nate per necessità che il soggetto non poteva non provare, per lo psicoanalista che chiama quel comportamento meccanismo di difesa.
Aver paura dei gatti o di qualcos’altro è una necessità, secondo il soggetto fobico e anche secondo molti psicologi, psichiatri, etologi e via dicendo
Fare la faccia sorpresa davanti ad una sorpresa è un’emozione che non si può non avere e su questo saremmo tutti d’accordo se non ci fossero a giro tanti bravi attori (come gli studenti che riescono a fare la faccia sorpresa quando viene comunicato loro che verranno portati allo scrutinio finale con un quattro pur sapendo benissimo da mesi che questo era il loro voto).

L’idea comune alle tre posizioni esaminate e a molte altre ancora è quindi che le emozioni provate da un soggetto siano risposte necessarie agli stimoli ambientali.

“Di contro” scrivono Carli e Paniccia “si possono considerare le emozioni anche quale elaborazione della simbolizzazione emozionale degli eventi che quotidianamente incontriamo, costruiamo, cerchiamo, subiamo nella nostra esistenza…”
Questa non è una affermazione che brilla per chiarezza e nel seguito faccio delle considerazioni che possono interessare gli studenti di psicologia che stanno studiando questo libro per fare l’esame con la Paniccia, ma che ora salterò.
È però importante sapere che secondo questa clinica, ovvero secondo la clinica basata sull’analisi della domanda, ci sono due tipi di relazioni: quelle che chiama relazioni di scambio e quelle che chiama relazioni possessive.
La prima grossa novità contenuta in questo modo di vedere le emozioni è contenuta nel fatto che simbolizzare emozionalmente un evento è un’azione che il soggetto fa sull’ambiente usando le sue emozioni. La novità è che bisogna ipotizzare che queste emozioni usate per agire sull’ambiente siano prodotte dal soggetto stesso (e fin qui nulla di nuovo perché anche le emozioni prodotte su sollecitazione dell’ambiente sono prodotte dal cervello del soggetto) per libera scelta (e qui c’è molto di nuovo).
Ipotizziamo allora che un soggetto possa provare emozioni per sua libera scelta e battezziamole “emozioni per scelta

C’è anche una seconda novità, altrettanto importante sul piano teorico anche se è meno esplosiva del considerare possibili le emozioni per libera scelta del soggetto, ed è che prima di un’elaborazione razionale il cervello farebbe un’elaborazione emozionale. La scelta del soggetto di creare un’emozione per scelta è necessariamente inconsapevole nel momento in cui viene fatta se l’elaborazione emozionale della situazione che si ha davanti precede temporalmente quella razionale, perché esserne cosciente significherebbe poterla pensare e il pensarla è un’attività che viene fatta successivamente, se viene fatta.

È importante notare questo “anche” presente nella frase del libro di Carli-Paniccia, giustamente sottolineato con un corsivo, perché ci dice che le emozioni per scelta necessarie per fare una data simbolizzazione emozionale delle situazioni non sono alternative alle emozioni per necessità di cui parlano gli altri ma si affiancano ad esse.
Ad un dato istante ci sono quindi le emozioni per necessità nate su sollecitazione dell’esterno e ci sono contemporaneamente anche delle emozioni per scelta.
La somma di queste due componenti è l’emozione provata in quel momento dal soggetto.
Descrivendo un’emozione solo con un numero che ne esprime l’intensità e con un segno che ne esprime la piacevolezza (segno positivo) o la spiacevolezza (segno negativo), ignorando quindi la qualità dell’emozione e il motivo che la rende piacevole o spiacevole, potremmo sommare tra loro le emozioni per scelta e le emozioni per necessità dipendenti dall’esterno e quindi contesto-dipendenti (qui disegnate supponendo che siano più intense delle emozioni per scelta ma anche che durino poco)

L’emozione provata è la somma di queste due componenti, se è vero che le emozioni per necessità nate su sollecitazione dell’ambiente sono presenti contemporaneamente alle emozioni per scelta volute dal soggetto per proporre qualcosa a chi ha davanti o, spesso, per imporgliela.

L’ipotesi che l’emozione provata abbia una componente di origine esterna legata alla situazione effettivamente presente e una componente di origine interna auto-prodotta dal soggetto usando la sua capacità di immaginare situazioni attualmente non presenti pone un problema di equilibrio tra queste due componenti. È equilibrata la situazione a sinistra nella figura qui sotto perché l’assetto emozionale scelto dal soggetto, che ha fantasie ovvero attese emozionali ottimistiche, può essere confermato ma anche smentito dalle emozioni di origine esterna che tengono conto della situazione realmente presente, in grado di far cambiare di segno all’emozione somma.

È invece squilibrata la situazione a destra, dove l’assetto emozionale scelto dal soggetto è troppo negativo perché le emozioni legate alla situazione esterna siano in grado di far cambiare segno all’emozione somma, col risultato che la realtà non conta più nulla e il soggetto sarà ad esempio preoccupato anche se la realtà non confermasse affatto le sue preoccupazioni.
Quelle che nell’analisi della domanda sono chiamate neoemozioni, a cominciare dal pretendere la neoemozione che più caratterizza le relazioni possessive, sono allora le emozioni per scelta?

No. Se le emozioni per scelta non mettono a tacere le emozioni di origine esterna, infatti, continuiamo a chiamarle emozioni perché sono sincere quanto le emozioni d’origine esterna se le rispettano. Vengono invece chiamate neoemozioni le emozioni per scelta quando la relazione è possessiva, ovvero quando le emozioni per scelta s’impongono sulle emozioni d’origine esterna che diventano ininfluenti (in pratica quando le emozioni per scelta sono prodotte per motivi relazionali con lo scopo di imporre all’altra persona le proprie pretese).

Le emozioni usate per simbolizzare gli eventi (quelle che io che qui io ho chiamato emozioni per scelta) “si propongono come le componenti principali della relazione umana con il contesto” e “servono per costruire la relazione, per dare alla relazione stessa un senso e uno scopo”

In pratica si sta sostenendo che prima di condividere degli obiettivi, due persone che hanno una relazione tra di loro condividono delle emozioni e che una persona intenzionata a propone una relazione comincia proprio col proporre delle emozioni.

Se non potesse scegliere le sue emozioni non potrebbe neppure proporre una relazione invece di un’altra, il che è chiaramente falso ed è un buon motivo per pensare che una persona abbia la possibilità di intervenire sulle emozioni che prova, che poi saranno automaticamente e inevitabilmente trasmesse all’esterno attraverso quell’enorme canale di comunicazione emozionale che è il non verbale.
Secondo la clinica basata sull’analisi della domanda non ci sono persone che hanno la fobia dei gatti, ma persone che hanno proposto e ottenuto relazioni basate sulla fobia dei gatti. Relazioni possessive dove il soggetto fobico può pretendere qualunque cosa senza che i suoi partner possano mai opporsi perché hanno accettato che “lui è fatto così” accettando come emozione ineluttabile una emozione scelta dal soggetto per imporsi sugli altri (anche se essa ha come prezzo che dovrà provare delle paure che poteva risparmiarsi).

La clinica basata sull’analisi della domanda guarda che relazione il cliente propone allo psicologo. Se è basata sulle pretese, la neoemozione che non manca mai se il soggetto vuole imporsi usando le emozioni per scelta, ipotizza che ci siano opportunità di sviluppo oggi non visibili a causa delle sue neoemozioni e prospetta al cliente la possibilità di andarle a cercare insieme (operazione battezzata “creare committenza” perché il committente è quello che paga l’intervento e al cliente si sta chiedendo se è disponibile a pagare un intervento orientato allo sviluppo invece di quello orientato a confermare le sue neoemozioni per il quale è venuto).
Se il cliente accetta il nuovo scopo il successo dell’intervento è già assicurato perché di fatto ha accettato di mettere da parte quelle neoemozioni che era venuto per confermare ed erano loro l’ostacolo al suo star bene.

|<= Una relazione o è possessiva (emozionalmente negativa) o è di scambio


Capire razionalmente cosa sono le relazioni definite possessiva dalla clinica fondata sull’analisi della domanda è tanto importante da portare le persone che lo fanno su Terra2. Non serve a nulla però quando si vuole intervenire sul tipo di relazione che offriamo a qualcuno, perché tale scelta la fa il nostro sistema emozionale corticale (ovvero il nostro cuore) e non il nostro sistema razionale. Dopo questa avvertenza, vediamo cosa dice su queste relazioni il libro Analisi della domanda, ascoltando la diapositiva che segue o leggendone il contenuto.

Se volete ascoltare la diapositiva qui sopra cliccate qui

Per la clinica fondata sull’analisi della domanda, sul piano emozionale ci sono 2 tipi di relazioni:
  1. Le relazioni di scambio caratterizzate da emozioni contesto-dipendenti ovvero che variano al variare delle situazioni;
  2. le relazioni possessive caratterizzate da emozioni per scelta invasive imposte all’altro e all’ambiente (che chiama neoemozioni)
Le relazioni di scambio sono relazioni alla pari in quanto basate su un apprezzamento, che riconoscendo all’altro lo stesso valore che a se stessi anche in presenza di dislivello gerarchico, permette lo scambio di cui parla il nome, ovvero il dare e il ricevere qualcosa di entrambe le parti.

Invece nelle relazioni possessive c’è una asimmetria di potere. In pratica sono relazioni basate sul disprezzo che, negando il valore altrui, giustifica l’imporsi di uno sull’altro. La situazione in cui il soggetto 1 impone le sue emozioni (e di conseguenza il suo punto di vista sulla situazione) al soggetto 2 può ribaltarsi e lo fa continuamente, consentendo ad entrambe le parti di sentirsi padrona dell’altra parte o schiava di essa a secondo di cosa gli fa più comodo pensare in quel momento, senza essere mai veramente padrona e mai veramente schiava.

ATTENZIONE: quanto detto qui sopra non è scritto nel libro Analisi della domanda, ma sono considerazioni mie. Infatti in questo come negli altri libri di Renzo Carli e Rosa Maria Paniccia (gli autori che hanno proposto e sviluppato la tecnica nota come Analisi della domanda) queste due relazioni non vengono mai descritte direttamente. L’unica cosa che viene detto è che ci sono due tipi di relazioni, di scambio e possessive, e che quelle possessive sono caratterizzate dalla presenze di alcune neoemozioni caratteristiche.

Le neoemozioni più presenti nelle relazioni possessive (e quindi più usate nell’analisi della domanda per riconoscere una relazione possessiva sul piano emozionale) sono le seguenti:
La neoemozione che più caratterizza la relazione possessiva e per questo messa in cima in questo schema noto come albero delle neoemozioni è il pretendere, ovvero il fare richieste apparentemente banali ma in realtà impossibili da soddisfare non per avere ciò che si chiede ma per far sentire l’altro un incapace.
Pretendere di controllare l’altro apre il lato attivo dell’albero delle neoemozioni (quello a sinistra), dove attivo significa che il controllante va a cercare il controllato per mostrargli che lo tiene d’occhio. Il pretendere è in alto nella gerarchia delle neoemozioni perché molte di esse (per non dire tutte) sono strategie di controllo.
Controllare l’altro è pretendere che lui consideri giusto quello che io considero giusto, aggredendo la sua diversità da me e prendendomi i meriti dei suoi successi, in pratica riducendolo ad un burattino che esegue i miei ordini mettendoci di suo solo gli errori.
Con il diffidare s’intende il non fidarsi, pensando che sicuramente l’altro sta tradendo la mia fiducia, torturando me stesso con questi pensieri se l’altro non mi rassicura continuamente, venendo lui a farsi controllare. Qui siamo sul lato passivo del pretendere (lato destro), perché chi diffida temendo continuamente di essere tradito comanda senza fare nulla oltre ad addolorarsi ed è l’altro che viene costretto a fare per ottenere quella fiducia in lui che al momento non c’è, e che non ci sarà mai fino a che l’assenza di essa permette alla persona che non si fida di imporsi sulla controparte.
La parte che ha il ruolo della vittima predestinata in una interazione tenderà ad evitarla e il modo attivo per costringerlo a interagire è quello di andare a provocarla con azioni che sollecitano una data reazione.
Il modo passivo per indurlo a interagire è invece quello di preoccuparsi, sbandierando le proprie dolorosisime preoccupazioni, ovviamente attribuite al cattivo comportamento altrui. Preoccuparsi è torturare se stessi con preoccupazioni poco giustificate dai fatti e molto esibite che costringono l’altro a sottomettersi per non avere accanto uno che lo fa stare male col proprio star male.
Una provocazione può essere aggressiva o seduttiva e provocare (da vocare ‘chiamare’ e pro ‘fuori’) è forzare l’altro ad avere la reazione voluta togliendo spazio a reazioni diverse e poi usare quella reazione come pretesto per fare quello che si era già deciso di fare prima, costringendo l’altro a litigare ma spacciandosi per quello che viene costretto a litigare.
Il provocare è messo in basso nella gerarchia non perché non sia diffuso, che anzi ogni atto di una persona possessiva è più una provocazione che un’azione diretta ad uno scopo, ma perché non è facile mostrare al cliente che sta provocando mentre è relativamente facile mostrargli che sta pretendendo l’impossibile e che punta a controllare lo psicologo, e perché è dopo aver evidenziato le pretese e gli intenti controllatori che appare chiara anche al cliente la natura provocatoria e non costruttiva delle sue azioni con lo psicologo
Obbligare significa riempirsi di obblighi e doverosità fingendo anche con se stessi che ci faccia piacere farlo per costringere l’altro a farsi carico degli stessi obblighi e doveri,

Lamentarsi con terze persone serve per far sentire l’altro in torto senza che lui possa contestare la colpa che gli si addebita e per indurlo a sottomettersi se vuole che cessi questa aggressione all’immagine che di lui hanno gli altri, che inevitabilmente tende a diventare un’immagine cattiva che lui ha di se stesso.

L’unica affermazione dell’analisi della domanda sulle relazioni possessive è che sono dominate dalle emozioni che si provano di fronte a persone che pretendono l’impossibile, che puntano a controllare il comportamento altrui, che sono sempre sicure di essere tradite, che provocano, obbligano, si lamentano e si preoccupano.
La presenza non occasionale ma cronica di queste emozioni in una relazione, quando esse ci sono ovviamente, è un fatto. Che non siano emozioni ineluttabili ma frutto di una scelta (anche se del sistema emozionale e quindi inconscia) è un assunto. Qualsiasi spiegazione del motivo per cui ci sono è un’opinione arbitraria e quindi non sostenibile davanti ad un cliente che si rifiuta di ammettere la sua possessività (ma una spiegazione la si può contrattare col cliente una volta che lui abbia accettato di avere con lo psicologo una relazione alle condizioni dello psicologo, ovvero non insistendo sull’ineluttabilità di quelle emozioni che alimenta da solo).
È un fatto anche che tutte le neoemozioni procurano sofferenza. Soprattutto alla parte che in quel momento è sottomessa, ovvero a chi riceve richieste impossibili che mirano a farlo sentire una nullità ed è continuamente controllato, considerato un traditore, provocato, obbligato, considerato la causa di lamentele e di preoccupazioni continue.
Ma procurano quasi altrettanta sofferenza anche alla parte che in quel momento è dominante, ovvero a chi fa le richieste impossibili ed è continuamente impegnato a controllare, a non fidarsi, a provocare, a obbligare, a lamentarsi e a preoccuparsi, tutte attività che rendono spiacevole la sua giornata.
Le neoemozioni e quindi le relazioni possessive procurano sofferenza ad ambo le parti, il che non dovrebbe sorprendere perché le emozioni sono fortemente contagiose e condivise col risultato che stanno male tutti o stanno bene tutti, ma che sorprende lo stesso perché nelle relazioni possessive la parte dominante si dichiara contenta anche se non lo è o quantomeno lo è molto meno di quello che poteva esserlo.
Mettendo insieme l’assunto che le neoemozioni siano emozioni per scelta, con l’evidenza che si tratta di emozioni spiacevoli ovvero di sofferenza, si è costretti a pensare che le persone all’interno di una relazione possessiva preferiscono la sofferenza al piacere!!
La scoperta che delle persone preferiscono stare male quando potevano stare bene io la chiamo “la scoperta che mi ha cambiato la vita”, perché mi ha permesso di considerare falsa la maggior parte delle sofferenze psicologiche lamentate quotidianamente dalle persone che incontro col risultato che ora queste sofferenze mi fanno più ridere che piangere e che le persone mi appaiono molto migliori di prima, potendo pensare che sono perfettamente capaci di stare e di far stare bene, anche se molto più false perché la sofferenza se la autoinfliggono per darne la colpa a qualcun altro.
Le persone che preferiscono il piacere non sono allora tutte le persone, come si pensa comunemente, ma solo quelle che si trovano all’interno di relazioni di scambio.
Una relazione possessiva io preferisco chiamarla “relazione emozionalmente negativa” (o semplicemente negativa) perché caratterizzata dalla presenza delle neoemozioni, che sono emozioni di segno negativo ovvero emozioni che fanno soffrire.
Una relazione di scambio preferisco chiamarla “relazione emozionalmente positiva” (o semplicemente positiva), perché le persone impegnate in tali relazioni sono orientate al piacere e si prova piacere quando si prova un’emozione di segno positivo.
Una caratteristica delle relazioni negative molto sottolineata dai padri fondatori della clinica fondata sull’analisi della domanda è che al suo interno si ignora nei fatti il prodotto che solo a parole si dice di voler ottenere e di conseguenza non si realizza mai un prodotto. Una relazione positiva invece punta ad ottenere un prodotto e realizza sempre un prodotto (grande o piccolo, uguale a quello previsto all’inizio o diverso).
Una persona all’interno di una relazione negativa è motivata all’insuccesso, che non è cercare il successo senza ottenerlo ma non volerlo (!) e lavorare per non raggiungerlo(!!). Invece una persona all’interno di una relazione positiva è sempre motivata al successo e può variare solo l’entità della sua motivazione.
Vale la pena sottolineare che una relazione negativa è destinata a finire con un fallimento fin dall’inizio (e quindi non fallisce per le difficoltà incontrate ma per scelta, e se le difficoltà non ci sono le crea (!!) per nascondere che il fallimento è una sua scelta
(anche se non è una scelta fatta a livello razionale ma a livello emozionale e quindi senza esserne coscienti). Invece una relazione positiva è destinata fin dall’inizio a finire con un successo, anche se l’entità e la natura del successo dipendono dalle situazioni incontrate, che possono essere anche molto diverse da quello che ci si aspettava.

Il cinema trabocca di storie dove delle persone che potevano benissimo star bene preferiscono star male e questo film è solo l’esempio che ho scelto per poter parlare di questa cosa (con una classe di quinta superiore alla quale insegnavo “Teoria delle organizzazioni”), perché le due tredicenni protagoniste della storia erano delle adolescenti come i miei studenti e perché uno studente mi aveva chiesto “qualcosa sulla droga”. Ed è stata una buona scelta perché è un film molto vicino alla realtà, essendo stato fatto da una regista disperata per i comportamenti autolesivi della figliastra, che oltre ad aver scritto il diario da cui è stata tratta la storia è anche l’attrice che nel film interpreta la parte di Evie, quella a destra nella foto sulla copertina del DVD. Per il mio commento a THIRTEEN clicca qui.

Se hai visto il film, rispondi a questa domanda: Che problemi ha Tracy?
Qualunque risposta diversa da “non ha nessun problema, a parte quelli che crea lei stessa per imporsi nella relazione con la madre (riuscendoci) e nella relazione con l’amica Evie (senza riuscirci)” significa che non siete pronta/o per sostenere con successo l’esame di psicologia clinica basata sull’analisi della domanda.
Cosa potrebbe fare uno psicologo che usa l’analisi della domanda per Tracy, se lei andasse da lui?
Può chiederle se è disponibile a pagare incontri con lui durante i quali guardare insieme cosa si sta perdendo a non preferire le relazioni di scambio alle relazioni possessive, imparando anche cosa ci guadagna ad essere possessiva ma prendendo coscienza del prezzo che paga quando sceglie la possessività.
Per mostrare ai miei studenti di “teoria dell’organizzazione” cosa si perdeva Tracy col suo atteggiamento possessivo ho usato il film Juno, la cui protagonista è una 16-enne che al contrario di Tracy preferisce le relazioni di scambio, almeno ora che è giovane perché ci sono buoni motivi per pensare che da adulta preferirà essere possessiva in amore.
Quanto la vita attuale di Juno sia più soddisfacente di quella di Tracy è difficile raccontarlo a parole ma si capisce benissimo guardando il film. Juno è in una situazione familiare e ambientale molto simile a quella di Tracy eppure sembra che viva su un altro pianeta, tanto è migliore la sua vita. La differenza la fa l’impostazione emozionale di Juno, attualmente molto orientata alle relazioni di scambio, mentre quella di Tracy è orientata alle relazioni possessive.
Il Paradiso non sta molto lontano dall’Inferno se si può passare dall’essere sempre arrabbiati all’essere sempre felici semplicemente cambiando l’orientamento del proprio sistema emozionale, ovvero proponendo agli altri relazioni di scambio basate sull’apprezzamento invece che relazioni possessive basate sul disprezzo.

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2 pensieri su “Le 2 ipot. dell’AD

  1. interessante, non conoscevo l’approccio dell’analisi della domanda, e le tue schematizzazioni sono molto chiare, come lo è anche la spiegazione del perchè il cervello che dovrebbe andare sempre verso ciò che è positivo, possa andare verso l’infelicità propria e altrui. E’ vero anche che non è una scoperta, già Freud aveva parlato del nevrotico come di uno che si procura infelicità … molte relazioni sono basate su quelle che qui vengono chiamate neoemozioni volte al possesso. la riflessione che ne consegue è : è evidente che alcune personalità si strutturano in modo da orientarsi verso il negativo, forse la somma di esperienze lasciano nel cervello talmente tracce neurali che è estremamente difficile prescinderne. basta la consapevolezza di scoprire le proprie neoemozioni per modificare queste emozioni per scelta (inconsce?) . Occorre riuscire a spostarsi su un metalivello o essere disposti a farlo con qualcuno che non si fa incastrare nella domanda collusiva e essere disposti a guardare insieme a lui cosa ci si perde. Però la difficoltà è anche che, chi entra in relazioni non basate sullo scambio, sceglie partner e amici che fanno altrettanto. vedi il libro di giacobbe sulla paura, che dice in altri termini e con altri assunti teorici cose molto simili. Bisogna partire alla propria solitudine e non volerla far colmare da qualcuno (obiettivo farsi aiutare), cosa che mi pare riescano pienamente a realizzare in pochi e forse solo in alcune aree.
    grazie per il tuo lavoro di divulgazione.

    • Grazie a te per il tuo dichiararmi “non pazzo”.

      Io non penso solo che la “mia scoperta” sia nota a molti, perfino a Freud, ma che sia nota a tutti, presumo fin dal primo giorno di vita, ma proprio tutti. Ogni film della mia collezione che ho analizzato è una prova evidente sia di questo, sia del suo rimanere rigorosamente non cosciente (ed è per questo che nonostante 12 anni di zero consenso di zero persone, essendo recentissime concessioni come le tue, non mi sono mai sentito davvero un pazzo).

      Visti i risultati, visibili in ogni telegiornale, la non coscienza vanifica totalmente il sapere tutto ad un livello emozionale. Per questo ho pensato, sbagliando alla grande, che mettere nero su bianco poteva servire a qualcuno.

      Ora trovo totalmente inutile anche l’esplicitazione. Ma confido molto nei baci. Bacia uno sconosciuto, fregandotene dell’aumento progressivo e rigorosamente reciproco del livello di intimità che vale per l’amicizia normale e se non si rispetta i tempi si viene prontamente rifiutati, e se lo sconociuto ci sta (e ci sta di sicuro se a proprglielo è una donna) siete già su Terra2. Infinitamente lontani dalla terra attuale e infinitamente al quadrato lontani da Freud, che riposi in pace, e infinitamente al cubo lontani dalle religioni occidentali.

      Il problema è che rimanere su Terra2 non ha senso se non ci sono altre persone non possessive. Quindi prenditi un’amica e fatelo in quattro. Poi fammi sapere come è andata.

      Un bacio, ovviamente, chiunque tu sia.

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